I luoghi
Nel romanzo La Bufera i fatti narrati avvengono prevalentemente a Murello e dintorni, nei luoghi in cui Edoardo faceva lunghi soggiorni e che utilizzò spesso come ambientazione, più o meno esplicita, per i suoi romanzi e racconti. Nel caso de La Bufera, i riferimenti non sono velati come in altri lavori, ma palesi.
“Edoardo, scrivendo quel romanzo, che è il poema della sua terra, aveva sotto gli occhi una carta topografica dell’anno 1842 e così ogni strada, sentiero, corso d’acqua, cascinale, villa e castello, ricordati o descritti nel romanzo, corrispondono alla realtà.”
Edoardo era uno scrittore molto pignolo e quando descriveva un tratto di paese o un lembo di campagna, visitava più volte la località prendendo appunti sul suo taccuino. A casa stendeva la descrizione e successivamente tornava sul luogo con la moglie che doveva controllare se la descrizione era fedele. Il suo scrupolo per la verità era estremo, voleva che i suoi “paesaggi” si vedessero come fossero stati bozzetti dal vero; per questo motivo chi conosce i luoghi dove si svolgono i fatti dei suoi romanzi e delle sue novelle, li riconosce perfettamente leggendo le sue opere.
Inoltre non sono in molti a sapere che diversi episodi del romanzo fanno parte delle tradizioni di famiglia, trasmesse da nonni, servitori e amici, oppure sono racconti e leggende di Murello apprese dagli anziani del paese e che i personaggi sono stati presi quasi tutti dalla realtà, con ritratti, a volte grotteschi, di persone che facevano parte della sua vita.
“Edoardo, scrivendo quel romanzo, che è il poema della sua terra, aveva sotto gli occhi una carta topografica dell’anno 1842 e così ogni strada, sentiero, corso d’acqua, cascinale, villa e castello, ricordati o descritti nel romanzo, corrispondono alla realtà.”
Edoardo era uno scrittore molto pignolo e quando descriveva un tratto di paese o un lembo di campagna, visitava più volte la località prendendo appunti sul suo taccuino. A casa stendeva la descrizione e successivamente tornava sul luogo con la moglie che doveva controllare se la descrizione era fedele. Il suo scrupolo per la verità era estremo, voleva che i suoi “paesaggi” si vedessero come fossero stati bozzetti dal vero; per questo motivo chi conosce i luoghi dove si svolgono i fatti dei suoi romanzi e delle sue novelle, li riconosce perfettamente leggendo le sue opere.
Inoltre non sono in molti a sapere che diversi episodi del romanzo fanno parte delle tradizioni di famiglia, trasmesse da nonni, servitori e amici, oppure sono racconti e leggende di Murello apprese dagli anziani del paese e che i personaggi sono stati presi quasi tutti dalla realtà, con ritratti, a volte grotteschi, di persone che facevano parte della sua vita.
La villa della contessa Polissena: cascina Robelletta
Robelletta, dove ogni anno si reca in villeggiatura la Contessa Polissena Claris.
Il luogo è chiaro: dalla strada del sale ad una mezz’ora di cammino da Murello, dove a poche centinaia di metri si può incontrare la cascina di Robella alta, un fabbricato semplice ed elegante, in tutto e per tutto identico alla descrizione che ne fa Calandra.
Il luogo è chiaro: dalla strada del sale ad una mezz’ora di cammino da Murello, dove a poche centinaia di metri si può incontrare la cascina di Robella alta, un fabbricato semplice ed elegante, in tutto e per tutto identico alla descrizione che ne fa Calandra.
"Verso la fine del settecento Polonghera era un centro importante per il commercio del sale; da lì partivano le spedizioni: una buona parte veniva mandata a Torino su dei grossi barconi lungo il Po, il resto era consegnato tramite dei carri a Murello, Racconigi, Cavallerleone e altri comuni vicini. La strada per cui passavano questi carri veniva chiamata strada del sale.
In un punto lungo questa strada, dalle parti di Murello, si apriva un viale largo e dritto, costeggiato da due file di olmi, che conduceva ad un grande cancello di ferro. Quello era l’ingresso di Robelletta, di proprietà del conte Annibale e della contessa Polissena Claris. La villa si divideva in due parti: una signorile e l’altra rustica. La parte signorile aveva una facciata severa, senza ornamenti, con un terrazzino abbellito da una graziosa ringhiera in ferro battuto e una grande meridiana scrostata e scolorita. Nella parte rustica, bassa e lunga, c’erano le stanze dei contadini, la stalla, i magazzini e il fienile. Un grande muro, con un portone quasi sempre chiuso, separava le due parti e divideva il cortile dall’aia, i signori dai servi." (La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.) |
Boschi e torrenti
Edoardo Calandra aveva sposato, nel 1891, la signorina Virginia Callery Cigna Santi; gli sposi si recavano spesso a Murello, dove facevano lunghe passeggiate, esattamente come i protagonisti Luigi Ughes e Liana, nei primi tempi del loro matrimonio, nei capitoli iniziali del romanzo. I luoghi sono quelli che Edoardo avrebbe poi scelto come ambientazione: la Madonna degli Orti, il Castello di Bonavalle, Vallombrosa, il Bosco dei morti, la Torre della Rea, spingendosi a volte a Villanova Solaro, Polonghera, Moretta, Ruffia, Monasterolo e Racconigi. Luoghi che incontriamo, minuziosamente descritti, pagina dopo pagina.
Infatti incontriamo Luigi e Liana in un assolato pomeriggio di maggio, all’ombra degli alberi del bosco di Riochiaretto. |
Quella giornata si era fatta bellissima; soffiava un vento mite, a grandi folate leggere; l’erba, i fiori, le fronde degli alberi brillavano al sole, sempre più splendente.
Nel piccolo bosco di Riochiaretto, Luigi Ughes, appoggiato ad un tronco, contemplava sua moglie Liana, con i bei capelli rosso bruno sfumati d’oro che le ricadevano sulle spalle, seduta al margine del ruscello.
“Senti come si sta bene?” mormorò Liana “Che quiete! Promettimi di ricondurmi qui molto presto.”
“Possiamo tornare oggi, dopo pranzo.”
“No, prima desidero vedere gli altri luoghi che mi hai descritto. Però prevedo che questa sarà la mia passeggiata preferita. Non so perché, ma sento che sarà così … Sono anche sicura che non dimenticherò mai questa mattinata.”
“Perché?” chiese Ughes, che nel frattempo si era staccato dall’albero e si era seduto accanto a lei.
In quel momento udirono il suono di una campanella lontana. “Dev’essere la campana di Robelletta,” disse Ughes “oggi è domenica…” Pensò un attimo, poi aggiunse: “Liana, questo è il quinto giorno che siamo a Murello! Cinque giorni di felicità! Però non è troppo dopo quello che abbiamo patito. A volte ho paura che non sia proprio vero che siamo qui, uniti!” e si abbracciarono.
Uscirono dal boschetto ed entrarono nel viottolo che portava alla strada del Sale; al di là della strada si intravedevano Robelletta e le chiome più alte degli alberi del giardino.
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
Nel piccolo bosco di Riochiaretto, Luigi Ughes, appoggiato ad un tronco, contemplava sua moglie Liana, con i bei capelli rosso bruno sfumati d’oro che le ricadevano sulle spalle, seduta al margine del ruscello.
“Senti come si sta bene?” mormorò Liana “Che quiete! Promettimi di ricondurmi qui molto presto.”
“Possiamo tornare oggi, dopo pranzo.”
“No, prima desidero vedere gli altri luoghi che mi hai descritto. Però prevedo che questa sarà la mia passeggiata preferita. Non so perché, ma sento che sarà così … Sono anche sicura che non dimenticherò mai questa mattinata.”
“Perché?” chiese Ughes, che nel frattempo si era staccato dall’albero e si era seduto accanto a lei.
In quel momento udirono il suono di una campanella lontana. “Dev’essere la campana di Robelletta,” disse Ughes “oggi è domenica…” Pensò un attimo, poi aggiunse: “Liana, questo è il quinto giorno che siamo a Murello! Cinque giorni di felicità! Però non è troppo dopo quello che abbiamo patito. A volte ho paura che non sia proprio vero che siamo qui, uniti!” e si abbracciarono.
Uscirono dal boschetto ed entrarono nel viottolo che portava alla strada del Sale; al di là della strada si intravedevano Robelletta e le chiome più alte degli alberi del giardino.
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
La casa del dottor Ughes e Liana: casa Calandra
La casa dove vivono Luigi e Liana altra non è che casa Calandra.
"Il pomeriggio del giorno dopo, mentre Ughes e Liana stavano per uscire, arrivò inaspettato il contino. Era venuto a piedi fino a Murello: “Pensavo che sareste stato contento di sapere che non vi siete sbagliato e che mia madre sta meglio. Volevo anche chiedervi di passare ogni tanto da Robelletta per ripetere i vostri consigli...”
Quando si accorse che stavano per uscire, uscì con loro e vide che prendevano la stradina che, attraversando il giardino, passando accanto al castello e dietro la parrocchia, esce fuori dal paese nella strada di Racconigi: così decise di far loro compagnia.
“Dovete sapere, signor contino che andiamo a spasso tutti i giorni, a volte di mattina, a volte dopo pranzo, per una via o per un'altra; talvolta ci spingiamo lontano, per visitare qualche villaggio, qualche borgata o qualche santuario.” spiegava Ughes."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
"Il pomeriggio del giorno dopo, mentre Ughes e Liana stavano per uscire, arrivò inaspettato il contino. Era venuto a piedi fino a Murello: “Pensavo che sareste stato contento di sapere che non vi siete sbagliato e che mia madre sta meglio. Volevo anche chiedervi di passare ogni tanto da Robelletta per ripetere i vostri consigli...”
Quando si accorse che stavano per uscire, uscì con loro e vide che prendevano la stradina che, attraversando il giardino, passando accanto al castello e dietro la parrocchia, esce fuori dal paese nella strada di Racconigi: così decise di far loro compagnia.
“Dovete sapere, signor contino che andiamo a spasso tutti i giorni, a volte di mattina, a volte dopo pranzo, per una via o per un'altra; talvolta ci spingiamo lontano, per visitare qualche villaggio, qualche borgata o qualche santuario.” spiegava Ughes."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
Il santuario della Beata Vergine degli Orti
Viene nominato anche il Santuario con la passeggiata che già allora era la passeggiata del paese. "Pochi giorni dopo, Ughes e Liana rividero Massimo lungo la passeggiata del paese, la strada che collega il paese alla Madonna degli Orti, un piccolo santuario a un quarto di miglio da Murello. Massimo era a cavallo, si fermò, li salutò e diede buone notizie di sua madre. "Domani porterò mia moglie a vedere la Varaita.” disse Ughes “Perché non si unisce a noi?” Il contino non aspettava altro…" (La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.) |
Il bosco dei morti
Un altro bosco che Ughes deciderà di visitare con la moglie e il contino è il bosco dei morti.
"Quel giorno c'era un caldo leggermente afoso, si stava meglio all'ombra che al sole. "Attraverseremo il paese," disse il medico "andremo dritti dritti alla Folìa, ne seguiremo il corso fin dove sbocca nella Varaita e torneremo a casa per qualche altra via."
Ughes andava avanti, un po' pensieroso, come al solito. Liana era molto allegra, non faceva che raccogliere fiori ed erbe odorose, come se fossero nati apposta per lei. Massimo la seguiva da vicino o le stava accanto; prima aveva cercato di aiutarla ad arricchire il mazzo che stava componendo, poi si era accorto che facendo da sola si divertiva di più, così si limitò a rimirarla: Liana era elegante nel suo vestito chiaro, cinto sotto il seno con un largo nastro verdazzurro.
"Siamo al bosco." disse ad un tratto Ughes fermandosi.
"E la Varaita?" domandò Liana.
Il medico stese il braccio, indicò il torrente che tremolava laggiù tra i tronchi. Entrarono nella grande ombra verde seguendo il sentiero serpeggiante e in pochi minuti furono alla foce.
La Varaita scendeva in un ampio letto di ghiaia, accoglieva placidamente la Folìa e girava lenta riprendendo il suo corso, qua increspata e tutta d'argento, là dorata perché baciata dal sole, poi illuminata da larghi riflessi celesti, poi verdi o bruni all'ombra degli alberi, infine si perdeva all'orizzonte nei vapori azzurrini di altre curve lontane.
Di tanto in tanto un merlo volava da una riva all'altra o un uccelletto turchino passava sull'acqua come una freccia; altri uccelli con le ali nere arrivavano con un lungo stridìo. Dai pioppi bianchi e dalle scure querce uscivano voci gutturali e sommesse: il monotono tubare di tortore e colombi, coperto da gorgheggi, da trilli improvvisi, dallo schiamazzo sgangherato delle gazze e delle ghiandaie.
La giovane signora e i suoi due compagni sedettero sull'erba.
"Dunque," disse Liana, rompendo per prima il silenzio, "questa è la Folìa e quella è la Varaita. Come si chiama il bosco? Dovrebbe avere un nome allegro..."
"Il bosco dei Morti." rispose Ughes
"Oh! E come mai?"
"Ho sentito dire che scavando poco sotto la terra si trovano delle ossa."
"Pare," aggiunse Massimo, "che ci sia stata una battaglia nel secolo passato.”
"Una battaglia qui?" esclamò Liana "In un luogo così quieto, così ridente?"
"Tu non sai, che quando gli uomini decidono di scannarsi, diventano ciechi." disse Ughes.
"Altro che ciechi!" esclamò Massimo "Bisogna vederli... Eppure è stato e sempre sarà così."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
"Quel giorno c'era un caldo leggermente afoso, si stava meglio all'ombra che al sole. "Attraverseremo il paese," disse il medico "andremo dritti dritti alla Folìa, ne seguiremo il corso fin dove sbocca nella Varaita e torneremo a casa per qualche altra via."
Ughes andava avanti, un po' pensieroso, come al solito. Liana era molto allegra, non faceva che raccogliere fiori ed erbe odorose, come se fossero nati apposta per lei. Massimo la seguiva da vicino o le stava accanto; prima aveva cercato di aiutarla ad arricchire il mazzo che stava componendo, poi si era accorto che facendo da sola si divertiva di più, così si limitò a rimirarla: Liana era elegante nel suo vestito chiaro, cinto sotto il seno con un largo nastro verdazzurro.
"Siamo al bosco." disse ad un tratto Ughes fermandosi.
"E la Varaita?" domandò Liana.
Il medico stese il braccio, indicò il torrente che tremolava laggiù tra i tronchi. Entrarono nella grande ombra verde seguendo il sentiero serpeggiante e in pochi minuti furono alla foce.
La Varaita scendeva in un ampio letto di ghiaia, accoglieva placidamente la Folìa e girava lenta riprendendo il suo corso, qua increspata e tutta d'argento, là dorata perché baciata dal sole, poi illuminata da larghi riflessi celesti, poi verdi o bruni all'ombra degli alberi, infine si perdeva all'orizzonte nei vapori azzurrini di altre curve lontane.
Di tanto in tanto un merlo volava da una riva all'altra o un uccelletto turchino passava sull'acqua come una freccia; altri uccelli con le ali nere arrivavano con un lungo stridìo. Dai pioppi bianchi e dalle scure querce uscivano voci gutturali e sommesse: il monotono tubare di tortore e colombi, coperto da gorgheggi, da trilli improvvisi, dallo schiamazzo sgangherato delle gazze e delle ghiandaie.
La giovane signora e i suoi due compagni sedettero sull'erba.
"Dunque," disse Liana, rompendo per prima il silenzio, "questa è la Folìa e quella è la Varaita. Come si chiama il bosco? Dovrebbe avere un nome allegro..."
"Il bosco dei Morti." rispose Ughes
"Oh! E come mai?"
"Ho sentito dire che scavando poco sotto la terra si trovano delle ossa."
"Pare," aggiunse Massimo, "che ci sia stata una battaglia nel secolo passato.”
"Una battaglia qui?" esclamò Liana "In un luogo così quieto, così ridente?"
"Tu non sai, che quando gli uomini decidono di scannarsi, diventano ciechi." disse Ughes.
"Altro che ciechi!" esclamò Massimo "Bisogna vederli... Eppure è stato e sempre sarà così."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
La torre della rea
Un’altra meta di passeggiate è la torre della rea.
"Che peccato!" esclamò Ughes "Oggi dovevamo andare alla torre della Rea e invece dobbiamo stare tappati in casa." "È vero," disse Liana "ma almeno dimmi com'è questa torre e perché la chiamano così." "È un torrione quadrangolare e si trova sopra un'altura artificiale. Si dice che un tempo sia servito da prigione per una moglie infedele; ora serve come granaio e magazzino per i contadini di una cascina vicina. Non potrò mai dimenticare la prima volta che ci sono andato..." concluse Ughes. "Perché?" domandò Liana. "Ti racconterò qui quello che ti volevo raccontare per strada. E’ un fatto successo quando ero molto giovane..." (La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.) |
La spezieria di Bechio
"Improvvisamente si udì mormorare una voce rauca: "Dottore! Ehi, dottore, dottore!" era Bechio, lo speziale.
Ughes subito pensò di nascondersi dietro il cipresso per non farsi trovare, poi ci ripensò. "Eccomi!" rispose seccamente "C'è qualcuno che ha bisogno di me?" "Neanche per sogno!" rispose Bechio "La stagione è bella e le malattie sono poche. Poi se c'è un paese in cui si potrebbe fare a meno del medico è proprio Murello. Un veterinario e non occorre altro! Diavolo! Abbiamo un chirurgo che fa le amputazioni a meraviglia con un semplice coltello da cucina. È vero che per togliervi un callo vi taglia il dito, ma è perché gli tremano uno pochino le mani...ih ih ih...poi ci sono io e la mia bottega sempre in ordine. Non si può pretendere di più!" (La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.) |
Il bosco di Vallombrosa (Lambrosa)
Questa è una passeggiata che farà Liana, ma sarà molto meno piacevole delle altre… suo marito è già scomparso e lei è alla disperata ricerca di informazioni. Durante questa ricerca viene accompagnata da suo padre, l’avvocato Oliveri e da Gabriel, ad interrogare uno strano e inquietante personaggio.
"Quando furono sulla strada del sale, oltre Robelletta, videro le chiome verde cupo, che iniziavano già a tingersi di giallino e rossiccio. Uscirono dalla strada, presero un sentiero e finalmente arrivarono al bosco.
"Ci siamo," disse Gabriel "andiamo avanti, ma stiamo attenti a non perdere il sentiero. Ci mancherebbe! Vi avverto poi che Barabam è un selvaticaccio, con lui non si possono fare molte parole. A volte quando sente un rumore si rintana nel suo rifugio come una volpe."
Camminarono per un po', poi all'improvviso udirono l'abbaiare rabbioso di un cane e Gabriel indicò un muro cadente e coperto di edera.
"La casa di Barabam è dall'altra parte."
Dopo pochi passi videro un piccolo tugurio ricoperto di paglia, costruito con tronchi e rami. Sull'uscio stava un uomo barbuto e mal vestito; Liana afferrò d'istinto il braccio di suo padre.
"Buongiorno!" disse Oliveri "Come va? Prendete il fresco, eh?"
Barabam fece una risatina; il cane, cucciato ai suoi piedi, ringhiava."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
"Quando furono sulla strada del sale, oltre Robelletta, videro le chiome verde cupo, che iniziavano già a tingersi di giallino e rossiccio. Uscirono dalla strada, presero un sentiero e finalmente arrivarono al bosco.
"Ci siamo," disse Gabriel "andiamo avanti, ma stiamo attenti a non perdere il sentiero. Ci mancherebbe! Vi avverto poi che Barabam è un selvaticaccio, con lui non si possono fare molte parole. A volte quando sente un rumore si rintana nel suo rifugio come una volpe."
Camminarono per un po', poi all'improvviso udirono l'abbaiare rabbioso di un cane e Gabriel indicò un muro cadente e coperto di edera.
"La casa di Barabam è dall'altra parte."
Dopo pochi passi videro un piccolo tugurio ricoperto di paglia, costruito con tronchi e rami. Sull'uscio stava un uomo barbuto e mal vestito; Liana afferrò d'istinto il braccio di suo padre.
"Buongiorno!" disse Oliveri "Come va? Prendete il fresco, eh?"
Barabam fece una risatina; il cane, cucciato ai suoi piedi, ringhiava."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
La Parrocchia
"Liana andò via senza dire nulla; andò difilato al piccolo cancello di legno che c'era in fondo al giardino, prese una stradina che correva tra siepi e orti e sbucò nella piazzetta della parrocchia. Cercava don Prato e lo trovò seduto ai piedi di un grande olmo con un libro aperto sulle ginocchia.
Il parroco la accolse impacciato, ma la giovane signora gli chiese subito cosa ne pensava della sparizione di suo marito."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
Il parroco la accolse impacciato, ma la giovane signora gli chiese subito cosa ne pensava della sparizione di suo marito."
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
Il Castello
Anche quella sera, come le altre, Ughes e Liana si sedettero sulla porta del giardino per ammirare il tramonto, ma lo spettacolo era ormai finito. Scomparso il sole, l'unico segno rimasto del suo passaggio, era una tinta rosata sopra i monti che sfumava più in alto nel viola. Vagavano lente lassù alcune nuvolette brune. Oltre il muretto di cinta spiccavano le vette degli alberi e i comignoli delle case, tra i noccioli a sinistra si udiva ancora il bisbigliare delle passere appollaiate, mentre a destra, verso il vecchio castello, brillava già un lume.
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)
(La Bufera, Edoardo Calandra, adatt. Elena Masocco, Clavilux ed.)